di Toni Balbo
Dalla corrispondenza di don Nicolò Ferrero, sacerdote leinicese vissuto nel periodo della Rivoluzione Francese, ho ricavato un episodio che ha interessato il nostro paese. Ve lo propongo con il corsivo liberamente tratto dalle lettere e alcune note di spiegazione.
Alla fine del XVIII secolo, a seguito della prima campagna d’Italia di Napoleone Bonaparte, terminata con l’armistizio di Cherasco nel 1796, il Piemonte sta diventando una regione francese: i Savoia sono costretti a rifugiarsi in Sardegna, gli austriaci premono ai confini, nelle campagne regna il caos.
Nell’anno 7° in fiorile, stante la confusione del momento, il Municipio di Leynì mandò un suo uomo a Chivasso per cercare di ottenere informazioni circa la situazione generale.
Nota: la data è aprile-maggio 1799. Il capodanno dell’anno 1° della rivoluzione fu stabilita il 22 settembre 1792 – giorno di proclamazione della Repubblica francese.
Passando per Volpiano, il parroco lo fece arrestare e tradurre al Corpo di guardia. Vane furono le preghiere rivolte al parroco per ottenerne il rilascio, ma la Guardia, vedendo tanta ostinazione, lo lasciò tranquillamente ritornare a casa.
Nota: non si conosce il motivo dell’arresto, ma la Guardia, che evidentemente conosceva le “inclinazioni” del parroco di Volpiano, si rifiutò di trattenere l’uomo.
Lo stesso parroco un paio di giorni dopo andò, insieme a dei suoi sodali, a strappare lo stendardo dall’albero della libertà di Caselle. Lo legò alla coda del cavallo trascinandolo sulla via del ritorno.
Nota: un decreto della Rivoluzione imponeva di piantare nella piazza principale di ogni Comune, un palo addobbato, adorno di bandiere e sormontato dal berretto frigio rosso: “l’albero della libertà”.
I compari del parroco anticiparono ai leinicesi il passaggio di tale “processione” invitandoli, se volevano, ad arrestare pure il parroco di Volpiano “ch’egli volevano disfarsene”.
Nota: anche i compari erano stufi dell’intraprendenza del prelato.
La notizia provocò allarme nei leinicesi in quanto temevano che venissero incolpati del misfatto.
I gendarmi di Leynì misero in guardia la combriccola sulle possibili conseguenze della loro azione, ma li fecero comunque passare “senza verun insulto”.
Il sacerdote di Leynì, don Nicolò Ferrero, dovette poi recarsi presso il Comando di Torino, dal Generale Fiorella, convincendolo “che né a Leynì, né a Caselle, né a Volpiano vi era insurrezione”.
Nota: in questo modo viene scongiurato l’invio di una colonna di armati per ristabilire l’ordine.
Le conseguenze di tale azione portarono alla fucilazione, due anni dopo, nel 1801, dei compari del parroco di Volpiano e l’allontanamento di quest’ultimo per alcuni mesi. Non solo, il parroco diventò tanto inviso ai suoi parrocchiani che nel tempo pasquale i fedeli di Volpiano andavano a confessarsi a Leynì, a San Benigno o addirittura a Torino.
Ben dieci anni dopo, lo stesso parroco venne a celebrare messa a Leynì: don Ferrero saluta il collega, ma questi lo accoglie con delle smorfie, chi assiste alla scena osserva che si ricordava ancora dei fatti del 1799.