di Toni Balbo
La nobile famiglia Pes, del Marchesato di Villamarina, originari di Tempio Pausania, fece parte della corte sabauda fin dal 1720 quando la Sardegna con il trattato di Londra passò ai Savoia.
La numerosa famiglia comprendeva cavalieri e comandanti militari, politici, magistrati e financo poeti. Alcuni di loro furono insigniti del collare dell’Annunziata, massima onoreficenza di casa Savoia.
Nella carta del basso Canavese, databile intorno al 1750, della quale abbiamo riferito sul n. 15 de La storia minore di Leinì, nel luogo dove oggi si trova la cascina cosidetta della Musica, in via San Francesco al campo, è riportata la dicitura “Casa del Signor Cavaliere Pas” (Pes).
Nella descrizione delle proprietà del catasto francese del 1810 la cascina Musica apparteneva a Montiglio Marianna, nata Pes, vedova, abitante a Torino.
Nel Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna di Pasquale Tola è riportato: “Don Francesco Pes, gentiluomo sardo, il quale visse nel secolo XVIII, colla sua scienza legale si fece strada ai più luminosi posti della magistratura.
Lavorò nella compilazione degli editti ordinati da Carlo Emmanuele III re di Sardegna.
Il Pes tolse due mogli, che furono donna Fiorenza Garrucciu e donna Lucia Sulis. Dalla prima gli nacque Marianna, la quale fu sposata ad un gentiluomo dei Montiglio, famiglia illustre piemontese; dalla seconda non ebbe discendenza veruna”.
Abbiamo così conferma che la cascina della Musica fu di proprietà di un Cavaliere Pes, poi di un Don (signore) Pes magistrato e infine della figlia di quest’ultimo.
Fin qui la storia degli abitanti la grande casa con annesso rustico e cappella, ma c’è un’altra curiosità che forse pochi conoscono: perché si chiama cascina della Musica?
Da testimonianze attuali e ricordi antichi, sul muro di cinta che circonda tutta la grande proprietà erano posizionate delle statue di terracotta raffiguranti dei suonatori. Le statue, alte circa un metro, erano cave e forate in più punti. Quando tirava vento esse emettevano suoni diversi come se fossero delle ocarine.
A Castellamonte, patria canavesana della terracotta e della ceramica, le statue dei musicanti le chiamano “pitòcio”, li fanno ancora oggi, servivano sia come abbellimenti nei giardini ma anche come comignoli.
La stradina di accesso alla cascina è un residuo della centuriazione romana.