di Toni Balbo
Anche in materia di orchi, gnomi, fate e altre figure leggendarie, Leinì non ha rivali.
Era circa la metà degli anni 50 del secolo scorso quando, in occasione di una delle prime gite in bicicletta con le mie sorelle, dopo ben un chilometro e mezzo, vediamo in mezzo ai prati un fabbricato moderno tutto bianco e con il tetto piano. Già questo fatto, abituati noi a vedere solo case e cascine con i tetti spioventi coperti di coppi, ci apparve come inusuale e fantastico. Il portoncino di ingresso era fatto con doghe a lisca di pesce dipinte alternativamente di verde scuro e verde chiaro, anche gli altri serramenti erano dipinti così. Ma c’è di più, alla ringhiera di un ampio terrazzo rivolto a mezzogiorno era stesa una pelle di tigre!
Erano i tempi in cui i ragazzi come me cominciavano a leggere i primi fumetti di avventure per cui la visione fu fulminante.
Le mie sorelle maggiori commentavano la cosa con risolini e ammiccamenti, dicendo che quella era la “casa delle fate”, ma io ero ancora piccolo e non capivo.
La storia finì lì e per molti anni mi dimenticai di tutto.
Tornai sull’argomento con un conoscente che abitava in quei paraggi e gli chiesi se aveva ricordi al riguardo.
In effetti la casa era stata chiamata così dallo stesso proprietario, certo Pirinoli (ma non è sicuro), costruita qualche anno dopo la seconda guerra mondiale, sul sito di una cava di ciottoli.
Le cave di ciottoli erano situate nei pressi del Bendola dove le pietre affioravano numerose ed erano chiamate pomposamente “miniere”. Si scavavano i ciottoli e li si spaccava con una mazza proteggendosi il viso dalle schegge con una maschera di rete di ferro. Il prodotto veniva poi venduto al Comune per l’inghiaiatura delle strade (la pietra spaccata era più stabile del pietrisco “rotondo”).
L’abbigliamento estivo del proprietario, che aveva sui sessant’anni e con baffetti alla “sparviero”, era mitico: pantaloni bianchi al ginocchio, torso nudo e panama bianco: un vero viveur.
E come tutti i viveur aveva molte amicizie femminili, o meglio, amava circondarsi di belle donne.
Le donne arrivavano da Torino con la corriera e percorrevano a piedi il chilometro e mezzo fino alla casa del Pirinoli. Sovente chiedevano informazioni ai passanti sulla strada da percorrere e potete immaginarvi il loro stupore, specialmente da parte dei maschietti, nel vedere queste “fatine” un po’ avanti negli anni, vagare per la campagna leinicese con sguardi sognanti e abbigliamento svolazzante.
Non so se le fate avevano la bacchetta magica ma… adesso è meglio sorvolare su eventuali aspetti dove i doppi sensi si potrebbero sprecare.